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Ora Silvio sta solo p(r)en(/r)dendo tempo Se riforme istituzionali devono essere(?) che rispondano a (reali) esigenze Paese (Vero) tema non è bipolarismo(?) sì o no L’Italia ritrovi sua vocazione (nazionale) E Camera sia l’assemblea che la esprime Mentre il Senato diviene “delle Regioni” Deputati eletti su base (‘solo’) nazionale E campagna sia ‘incalzata’ da/su Internet Così si cancellano lobbies e clientelismo E si restituisce a Politica proprio respiro

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Un tema, quello delle “riforme” (?), su cui la nostra politica autoreferenziale di oggi é ferratissima (?). Ma qual è, oggi, la piu’ grande esigenza del Paese, in rapporto alla sua (classe) Politica? “Solo” riavere l’elezione diretta dei (propri) rappresentanti? O anche assicurare che ciò avvenga al di là di ogni rapporto elettorale (o, meglio, elettoralistico) opaco e anti-politico? E restituire alla classe dirigente la capacità di (ri)generare il futuro (della nazione), e non solo di curare gli interessi (particolari) di un (singolo) territorio? Questa, peraltro, è la Politica: partire da un’idea di fondo, basata su di una ricognizione efficace delle reali necessità del Paese (e, quindi, della – sua – Politica, e dei suoi “sistemi”), e da essa – e non il contrario – far discendere le specifiche ricette. Nell’ambito di un’organizzazione e di un progetto complessivo e organico, quale il giornale della politica italiana sferza la politca politicante a ricercare da tempo. E vale anche (se non appare palesemente chiaro che valga soprattutto in questo caso, in cui si parla in origine di intervenire su di un “sistema”, già in essere, costitutivamente, come tale) per le riforme istituzionali. Il resto si chiama tecnica (quando è comunque morale e onesta e responsabile), oppure semplice “pastrocchio”. Spesso, concepito per mantenere in essere propri interessi (parziali, quando non personalistici o addirittura privati). Parliamo di quelli di un’intera classe “dirigente” (?), che punta alle riforme per restituire (?) linfa (?) a se stessa, ma in questo modo senza, appunto, avere nemmeno lontanamente (?) idea di ciò che serva all’Italia. E dell’ex presidente del Consiglio, che – a sua volta – (ci) sembra pensare semplicemente (come fa ogni volta che propone un ‘tavolo’) a guadagnare tempo e/ per recuperare consensi (lo fece anche con Veltroni a governo Prodi in carica. “Sia pure” – in quel caso – su proposta di Walter. Prodi, puntualmente, cadde…), in vista di un’auspicata vittoria (oggi teoricamente difficile, ma solo allo stato attuale delle cose) alle prossime elezioni. Ma di questo abbiamo già parlato ieri. Affrontiamo ora comunque – come se non fosse questa la platea di addetti ai lavori “interessati” (ahinoi, in tutti i sensi. E per questa stessa ragione lo proponiamo!) – il merito delle riforme. E lo facciamo, come sempre, Politicamente; a partire da una concezione complessiva e scendendo poi ad indicare, in dettaglio, le possibili “ricette” ‘attuative’. Avvertenza: ad una classe politica del secolo scorso, quale quella oggi al potere, alcune formule – come quella di una campagna elettorale immaginata “solo” (o in larghissima parte) su internet, in un confronto diretto e molto più onesto (e stringente) con i cittadini; o di un sorteggio per definire i confronti a due tra i candidati solo nazionali – potrà risultare astrusa e dura da digerire; ma questo – per chi non l’ha compreso – è il (possibile, e secondo noi auspicabile) futuro. E’ anche in questo modo che il giornale della politica italiana, ancora una volta, vuole inverare la propria promessa – il proprio impegno – di contribuire (in modo decisivo) a ri-fare del nostro Paese la culla della civiltà.

Nella foto, il Senato della Roma repubblicana

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Premessa: la crisi della politica dipende dalla crisi culturale del Paese e non solo, e non si risolve con la tecnica ma con una iniezione di Politica (cioè agendo – direttamente – per/ “su” il Paese, e non sostituendo i tecnici nell’organizzare il sistema – e viceversa).

E tuttavia un intervento di riforma delle istituzioni può essere utile (anche) in questo senso.

Ma non nel modo – e, appunto, per le ”ragioni” (?) – concepito dai politicanti.

L’obiettivo primario è restituire – con la tecnica non si fa (ma con) la Politica – la “vocazione nazionale” (invocata – anche – dal presidente Napolitano) alla nostra rappresentanza. Senso della nazione – o, anche, “dello Stato” – chiave imprescindibile di ogni impegno alto, onesto e responsabile.

E ciò si ottiene esattamente nel modo opposto che nel “ridare” (in “pasto” – ?) i deputati al territorio!

Perchè ciò è fonte di corruzione e clientelismo e non di democrazia.

Ciò si può fare – al contrario – restituendo al Paese la facoltà di scegliere i suoi rappresentanti. Ma al Paese! (e non – appunto – “al paese”). Nella sua complessità e generalità.

Bene. Cinquant’anni fa naturalmente questa possibilità sarebbe apparsa improbabile non solo agli autoreferenziali. Ma nell’era di internet e della comunicazione, in luogo di immaginare scivolosi e inutili trasferimenti dell’atto di votare dalle cabine elettorali alla Rete, molto meno (in)visibile e soggetta a possibile inquinamento – “specie” nel caso di un momento delicato come quello - perché non dovremmo utilizzare internet per consentire una campagna elettorale sine loco a candidati (appunto) “del Paese” (da subito, anticipando ciò che peraltro diventerà naturale in seguito)?

Il Senato, dicono gli autoreferenziali di oggi, sia trasformato in “camera delle regioni”. Benissimo. Cio’ avvenga, naturalmente, consentendo una diretta rappresentanza – qui, anche, si’ – dei singoli territori in quella assemblea; e dunque piccoli collegi uninominali. Ma se il Senato diventa “dei territori”, perche’ la Camera deve restare un ibrido? Perche’ non dovrebbe vedere compiuta finalmente la propria vocazione originale, (ri)diventando l’(alta) camera delle leggi (“generali”) ma in una chiave complessiva, prospettica, strategica e nazionale? Come (in parte, anche) ai tempi del Senato romano?

Per essere sicuri che le campagne elettorali affrontino il merito delle questioni e si svolgano nell’interesse del Paese, immaginiamo ”confronti diretti” – secondo la formula dell’uninominale – tra (“coppie” di) due candidati nazionali, sottoposti al voto dell’intero suffragio universale, libero (ciascuno di noi) di scegliere di esprimersi su (ma anche in – ?) uno tra i diversi “duelli” (consentendo tra l’altro anche un successivo diretto ‘confronto’ – assoluto – tra le ‘preferenze’ raccolte da ciascun neo-deputato). Lo spostamento della campagna su internet – condicio sine qua non per non trasformare il tutto in un (altro, dopo l’attuale) reality show - associata naturalmente ad una necessaria presenza “fisica” sul territorio nazionale, e alla visibilità televisiva a quel punto assicurabile in eguale (e limitata) misura a tutti i candidati – e con forti limitazioni anche alla possibilità/ necessità di (auto)finanziamento – imporrà in modo stringente – incalzati, i candidati, dalla Rete – di discutere di soli contenuti. Confronti a due semplicemente, in mancanza di un “riferimento” territoriale, sorteggiati tra i 500-600 candidati che – nello spirito dell’uninominale – saranno giunti al secondo turno.

Fatta una selezione preliminare sulla base delle firme raccolte o di un altro criterio (magari) piu’ democratico ed affidabile – che ora non ci occupiamo di indicare - le “primarie” avvengano nelle stesse modalità del secondo turno, ma tra un numero – ovviamente – maggiore di candidati rispetto all’1 vs 1 del turno successivo. E tra tutti i candidati indipendentemente da, anche qui, la loro “appartenenza” (?). Non dovrebbe infatti essere contemplata la sola “appartenenza” all’(intera) nazione?

In un Paese in cui si possa fare Politica nel suo solo interesse, almeno alla Camera – ma, perciò, a cascata, anche al Senato, nonostante, qui, i – persistenti e, anzi, (ri)consolidati – legami territoriali - rischiano di non esserci più non solo corruzione (?) e clientele, lobbies e potentati, ma persino partiti e liste elettorali. Bensì solo contenuti (progetti, e programmi) e candidati, finalmente – davvero – liberi da “vincoli (ma – “comunque” – parziali) di mandato”. Il che rende evidentemente la proposta di difficile (di)gestione da parte dell’attuale classe “dirigente” (?), a tutte queste soprastrutture arroccata; e va, invece, nel senso di una “Politica dei cittadini” come(, appunto,) nell’esempio (anche) della polis greca. “Diffusa”, grazie ai mezzi di comunicazione di massa, nazionalmente.

Prospettiva come minimo innovativa (!).

Ma la Politica (non) deve limitarsi a “fotografare l’esistente”, come recita una (efficace) formula di chi, ad esempio, pone il proprio veto al riconoscimento delle coppie di fatto, (o) Politica è costruzione del futuro, a tal punto da saper riconoscere che – davvero! – il futuro dipende (anche – ?) dalla Politica – e dai suoi sistemi – e che non ci potrà essere un futuro (diverso) se diversa non sarà la Politica, ovvero se non supererà le sue distorsioni (“peggiori”), ma anche parzialità, personalismo, priva(tizza)zione(?)

E sia ben chiaro che per quanto accentuando, “programmaticamente”, la responsabilità individuale, questa bozza di riforma non va affatto nel senso del presidenzialismo (almeno in un primo momento), ma, al contrario, rigenera la democrazia parlamentare. E, con essa, auspicabilmente – e non solo propagandisticamente – la (nostra) Politica.

P.s.: Il governo, frutto dell’elezione diretta o meno del presidente del Consiglio, sarà formato – ed agirà – secondo le stesse logiche nel solo interesse del Paese. Ed avrà o non avrà i voti – dei “singoli” parlamentari – sulla base della funzionalità o meno dei propri provvedimenti a perseguire il bene della nazione.


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